Passolento ci racconta il suo Veneto Trail 2015
Alla partenza di sabato 27, si inizia a vedere qualche faccia nota. E’ il segno che il movimento delle ultra-marathon italiane in autosufficienza sta prendendo piede. Sono quasi sollevato del fatto che non sono l’unico matto a giocarsi tutto il tempo libero per correre con una bicicletta pesantissima, senza lavarmi, dormendo sotto i ponti e … divertendomi come un bambino.

Siamo al via della prima edizione del Veneto Trail, evento bikepacking organizzato da Roberto Polato, anche lui fulminato sulla via delle strade polverose. Siamo in 60 iscritti all’edizione del 2015 ed il parterre è dei più agguerriti. Alla partenza riconosco qualche razzo dell’ultimo Tuscany Trail, c’è anche Giuliana Massarotto, campionessa italiana di 24 ore che, infatti, brucerà il percorso in sole 36 ore. Complimenti!
Ma torniamo a noi mortali. L’atmosfera della sera prima è molto rilassata, ospiti dell’organizzazione, abbondiamo nelle libagioni al punto che molti di noi, per godere del fresco serale, passeranno la notte a dormire sotto le stelle.
Ma alla partenza è tutta un’altra cosa. Il via vede la maggior parte dei partecipanti scattare come razzi lungo il tracciato. La presenza di una scorta di tutori dell’ordine contribuisce a tenere sotto controllo la velocità iniziale, ma, in prossimità di Cittadella, finiscono i controlli ed il gruppo si scatena lungo gli argini del fiume. Il ponte di Bassano vede sfrecciare molti di noi in mezzo a turisti attoniti. Altri decidono per una più salutare sosta in gelateria! Gli eventi di questo tipo si corrono anche così. Puoi metterci 30 ore come 5 giorni, l’importante è che ti diverti e nessuno farà caso a come te la giochi.

La prima parte del tracciato è molto filante, la media, per chi vuole, si mantiene alta. Io mi ritrovo a pedalare con Davide, compagno di avventura nel Tuscany dello scorso anno. I gruppetti si formano e si sfasciano nell’arco di pochi chilometri.
Ben presto s’incontrano le prime colline, inizia il saliscendi su asfalto e su misto. Il caldo si fa sentire e le numerose fontane sono sempre molto gradite.
A Sospirolo si inizia a salire, dopo forcella Franche, una bella discesa tecnica impegna non poco chi scende, carico di borse. Penso alla mia fullona.
Le previsioni danno qualche possibilità di temporale nel pomeriggio. Personalmente ho avuto la fortuna di vedere parte della pioggia da sotto la tenda di un bar di Agordo, ma molti se la son presa tutta. Comunque tocca arrivare ad Alleghe, ed allora si tira fuori il competo antipioggia e si pedala lo stesso. Dopo Alleghe si costeggia per un po’ il fiume, ma poi si inizia a salire di nuovo. Santa Cristina di Cadore: sono le 21.00 e sono arrivato a quella che era il mio primo traguardo di giornata. Pioviccica, sono stanco e vorrei fermarmi ma … ma Passo Giau è proprio lì sopra. Con Davide si decide di proseguire. La luna fa capolino tra le nubi ed io presto salgo in solitaria.
Tredici ore in sella con pochissime soste si fanno sentire e la salita al Giau mi tira fuori l’anima, ma dopo due ore sono in cima. A valle mi avevano detto che i rifugi sarebbero stati aperti. Ma adesso tutto è buio. L’unica luce amica è quella del ristorante poco prima del passo. Ci guardano entrare come fossimo alieni, ma siamo fortunati, rimediamo una birra, un pasto caldo ed un magazzino dove passare la notte al coperto. Un lusso troppo raro da poter rifiutare. 176 km e 4.400 metri di dislivello possono bastare per oggi.

All’alba si riparte, molti ci hanno preceduto e qualcuno è passato per il Passo Giau, durante la notte. Tantissimo rispetto per loro! La vista del passo vale la sosta serale così come la discesa per i boschi fino a Cortina. Un’abbondante colazione e si riparte lungo la ciclabile realizzata sul tracciato della vecchia ferrovia che arriva a Dobiaco. Il lago di Misurina risplende placido nel sole ma dietro di lui i primi contrafforti della strada per il rifugio Auronzo stanno acquattati al sole come un gatto in attesa del topo!
Arrivare in cima a quella maledetta strada è stato un calvario. Maledetta per le pendenze, il caldo che saliva dall’asfalto, il fumo degli scarichi delle auto ed il rombo delle moto. Ma che spettacolo! Arrivi in cima al mondo ed intorno a te alcune delle più belle cime delle Dolomiti. Solo questa fatica merita il viaggio. E poi, ora, posso dire di averla fatta in bici.
Ma non c’è tempo per crogiolarsi al sole, il sentiero per il vallone che porta al lago di Auronzo è troppo tecnico per prenderlo sotto gamba. Immensa ammirazione per chi, mi dicono, l’ha fatto col buio. Io, personalmente mi sono divertito come un pupo.
Via, via, il lago di Auronzo sfreccia al nostro fianco e noi giù per la statale a zigzagare tra le macchine del rientro domenicale.
Prendo parecchi accidenti dagli automobilisti che quasi sfioro con la mia bici ma per fortuna dura poco. Mangio il gelato in fondo alla valle ma vedo sopraggiungere un altro gruppo, ci sono Paolo e l’atro ragazzo bolognese che ieri hanno pedalato con noi. Ed allora via a perdifiato a girare il lago di Santa Croce. Giusto il tempo di fare un po’ gli sbruffoni con i motociclisti incrociati nella sosta serale davanti ad una pizza (ma cosa ci si può aspettare da un romano ed un pisano che girano assieme?).
Oggi abbiamo fatto più chilometri noi, e non abbiamo ancora finito di pedalare. La notte la si passa tranquilla nella casetta dei sette nani in un parco giochi dopo Belluno. Oramai i parchi gioco, con castelli, casette e scivoli, sono diventati un porto sicuro nelle mie scorribande.
La mattina del terzo giorno si riparte presto. L’animo è sollevato dalla previsione dei pochi chilometri che ci separano dalla fine. Che sono 110 chilometri. Si unisce a noi Pasquale.
L’euforia per il prossimo arrivo scema velocemente quando a Lentiai la strada volta bruscamente a sinistra ed inizia l’ultima salita al Passo Mariech. …. chilometri di salita brutale, di quelle che non ti aspetti. Lunga, non finisce mai. Quasi non hai il coraggio di levare gli occhi dalla ruota anteriore mentre sali e sali ancora. Ed invece il paesaggio che hai attorno è sensazionale, si passano colline, boschi, piccoli borghi montani. E poi ancora più su i pascoli.

Tocca fermarsi, prendere fiato e riempirsi gli occhi di quello che ti attornia. Quando il pastore mi indica la malga in cima alla montagna mi sembe che la fatica non ci sia più. Salgo sui pedali e mi sparo l’ultima cementata. Arrivo in cima, quasi bacio per terra. Ma poi scopro che questa è Malga Garda, mentre la fine della salita è ancora più su. Ed allora altra fatica altro sudore.
Ma tutto è ripagato dalla meraviglie alimentari che trovo quando arrivo infine a Malga Mariech. Tiramisù con latte di malga, strudel, torta di ricotta e poi acqua e quant’altro il mio corpo riesce ad assimilare per riprendermi da tanta fatica. Mangio come se non ci fosse un domani. Il bello di tutte queste ore a faticare è anche rimpinzarsi di bombe caloriche. Poi domani a casa torno a regime.
Un lungo tuffo verso la pianura ci fa affrontare l’ultima divertente discesa. Poi il Piave, le colline del prosecco, Asolo e gli ultimi chilometri di ciclabile fino all’arrivo. Ma tutto passa più veloce di quanto dovrebbe essere. Troppi bar, troppe gelaterie sono lasciate indietro. Troppi bicchieri di vino non sono stati bevuti in compagnia.

C’è solo la voglia di arrivare, lanciati verso gli ultimi chilometri. Ma tanto lo sappiamo come vanno queste cose, puoi fermarti a fare foto od a conoscere gente, oppure puoi correre a perdifiato. Ognuno se la gioca come vuole.
Intanto ci si congratula con chi si incontra all’arrivo, si beve una birra e ci si fanno le fotografie di rito. Si confrontano i dati: 459 km per 9.400 metri di dislivello in 57 ore. Per le mie capacità posso essere soddisfatto.
Purtroppo domattina presto devo essere al lavoro e mi godo poco l’euforia dell’arrivo. C’è giusto il tempo di salutare gli amici e caricare le bici in macchia,
Ma tra una settimana saremo da un’altra parte per ricominciare a pedalare giorno e notte.